martedì 11 marzo 2008

Liberali di tutta Italia, uniamoci!


Libertà senza Liberali



Scritto da Arturo Diaconale
martedì 11 marzo 2008 17:30
Ci sono due modi per affrontare la questione della scomparsa di candidati dichiaratamente laici e liberali dentro il Pdl. Il primo è di scaricare la responsabilità dell’avvenimento sugli altri, cioè su i non liberali. E, quindi, di volta in volta, prendersela con il Cavaliere che definisce il Pdl il partito dei liberali e dei moderati e poi tutti candida tranne che gli uni e gli altri. Oppure denunciare il peso eccessivo di An che invece di pensare come un partito liberal-conservatore debba essere fondato sul giusto equilibrio tra le due componenti, cerca da sempre di imporre una sorta di egemonia conservatrice che limita e danneggia il Pdl.
O, in alternativa, scaricare la responsabilità della faccenda sui collaboratori più stretti di Berlusconi, da Bondi a Cicchitto, da Verdini a Scajola, troppo preoccupati di selezionare dei fedeli gregari utili solo a premere senza fiatare i bottoni dei voti parlamentari per poter immaginare che la politica senza le idee produce solo disastri. O, per finire, accusare i cattolici del Pdl di aver liquidato la presenza liberale per compiacere le gerarchie vaticane desiderose di poter contare su un fronte moderato privo di possibili quinte colonne laiche. Questo primo modo di affrontare il fenomeno della cancellazione dei liberali dal Pdl è ricco di argomentazioni più che giuste. Addirittura sacrosante. Che potrebbero influire non poco sull’andamento della campagna elettorale e sull’esito del voto. Se, ad esempio, passa il messaggio che il prossimo Parlamento sarà pieno di mezze-calze al servizio del leader-monarca, c’è da prevedere un forte aumento dell’astensionismo.
Perché votare per chi viene selezionato proprio in nome della propria mancanza di idee, di autonomia e di capacità politica? Così come se, ad esempio, si considera acquisito che i laici, anche quelli non laicisti, sono banditi dal Pdl, non ci si può stupire se poi una fetta di elettorato liberale, moderato e non confessionale non si sente più rappresentato dal partito del Cavaliere e decide o di non votare o di votare a dispetto. Ma questo primo modo di affrontare la questione, anche se pieno di spiegazioni convincenti, non esaurisce la risposta all’interrogativo sul perché la presenza dei liberali nel Pdl sia tramontata. Per chiarire completamente la faccenda c’è bisogno di un secondo modo. Cioè quello che chiama in causa i liberali stessi. Naturalmente questo non significa negare che il cesarismo berlusconiano e le sue conseguenze (così come, sul versante opposto, il cesarismo veltroniano) abbiano delle responsabilità precise nel fenomeno della sostanziale esclusione della politica dalla sua sede istituzionale naturale, cioè il Parlamento. Significa, però, mettere bene in chiaro che se un’area politica viene oscurata la colpa non può non ricadere anche sui suoi rappresentanti più significativi. Che per garantire se stessi hanno sempre evitato di dare corpo alla propria area politica. Ed in questo modo sono riusciti nel capolavoro non solo di liquidare l’area ma anche di far eliminare uno alla volta i liberali dal partito del Popolo della Libertà.
Pubblicato su l'Opinione dell'11 marzo 2008

lunedì 10 marzo 2008

spunti di riflessione per liberali in fuga


Amici liberisti siamo alle solite



Scritto da Oscar Giannino
sabato 08 marzo 2008

...Cari quattro gatti di amici liberal-liberisti, e non vi adontate se dico che siete-siamo in quattro, visto che ci conosciamo tutti. Non vi piacerà quel che segue, ma lo dico lo stesso. Riflettete, prima di cadere nella solita trappola di mettersi in prima fila per dare a Tremonti del protezionista, autarchico, demestriano, neofascista. È la solita storia. Individualisti siamo. Nella lotta, rifiutiamo qualunque prassi tra noi solidale. Come invece fanno da sempre collettivisti e statalisti, abituati a stare spalla a spalla nel momento in cui si tratta di contarsi per decidere chi comanda. Di conseguenza, già pochi siamo, noi quattro gatti liberali e liberisti. E siccome ce le suoniamo tra noi quando bisognerebbe in qualche modo far fronte comune, gli altri vincono meglio. E godono, al vedere i liberal-liberisti che battibeccano pubblicamente tra loro, ognuno pronto a dire che l'altro non è liberale per niente e anzi è un'apostata che ha perduto senno e intelletto. E anzi, nell'Italia di oggi, gli "altri" - quelli a cui piace uno Stato iperinterventista e che non condividono l'impostazione individualista nel diritto naturale come la conseguente diffidenza verso lo Stato che tende a impicciarsi di tutto e soprattutto di ciò di cui non deve - sono maggioranza anche nei grandi giornali che in teoria si definivano "borghesi", prima di essere occupati e diretti dai maestri e figli della contestazione. Di conseguenza, "gli altri" godono in particolar modo nel dedicare improvvisamente titoli e paginate che di solito ai liberali negano, solo per riportare con più enfasi le accuse e le scomuniche che nella loro foga fratricida i liberali si lanciano l'un l'altro. Capita così su Corriere e Repubblica, capiterà sul Sole 24 ore. Ora, carissimi amici che siete intervenuti in questi giorni nel "dagli al Tremonti", caro Dario Antiseri, caro Alessandro de Nicola, carissimo fratello Alberto Mingardi – ci conosciamo tutti, appunto, e potrei continuare, peraltro per non molto a lungo, con Lo- renzo Infantino, Carlo Lottieri, Dino Cofrancesco e non troppi altri.... – carissimi tutti, possibile mai che non sia chiara la trappola in cui rischiamo di ficcarci? Siete tutti troppo intelligenti e raffinati per non capire che i pareri, le interviste e gli articoli che improvvisamente vi chiedono, per meglio dipingere Tremonti come un vecchio arnese dell'Iri nemico degli scambi internazionali, non sono affatto motivati dall'illuminare il lettore sulla preferibilità della scuola austriaca di Mises e Hayek, di quella scozzese di Adam Smith e Ferguson, o da quella americana di Public Choice o dell'Economic Analysis of Law. Lo sapete meglio di me, che le speculazioni dottrinarie che tanto ci sono congeniali non fregano un piffero secco, a chi è solo inteso a descriverci come un branco di intellettualini tanto altezzosi e presi dal senso della propria superiorità sul mondo da finire più facilmente di ogni altra cosa in rissa tra noi, prima che con gli altri. Già posso prevenire, a questo punto, molte delle vostre obiezioni. Mi pare di sentirle. Ma Tremonti ti paga, per questa sua difesa? No, per niente. Ma l'hai letto il suo La paura e la speranza , quando alcune delle conclusioni e analisi tremontesche non sono proprio quelle che scrivi ogni giorno su Libero e Liberomercato? Vero, anzi verissimo. E allora? Dove sta scritto che tra liberali bisogna omologarsi e marciare all'unisono? Ci sono da sempre, nel liberalismo, distinzioni anche fondamentali tra il ruolo da attribuire allo Stato in particolar modo di fronte ad alcune emergenze - e Tremonti ritiene che la crisi finanziaria in corso lo sia - o quando sono gli Stati stessi ad aver misurato male l'effetto di proprie decisioni, come avvenuto nel Wto sulla Cina. Qui casca l'asino, sento che alcuni di voi mi azzannano. Ma come fai a non capire, te e il tuo bel Tremonti, che in questi anni la Cina ha sorretto la crescita comprando dollari, e che oggi è già un'occasione più che una minaccia, col suo maximercato da miliardi di consumatori che si apre a tutti? E qui vi rispondo che forse il libro - come il precedente Rischi fatali, che su questo già anticipava tutto - allora forse non l'avete letto voi. Perché Tremonti non ha mai invocato la nostra chiusura al commercio cinese. Ha solo detto per tempo che la fretta con cui gli Usa vollero l'ingresso di Pechino nel Wto ha impedito di scandagliare fono in fondo il rispetto delle clausole di rispetto del mercato che si pretendono da ogni altro Paese. Col bel risultato che rispetto alle importazioni cinesi scorrette, tessili e di scarpe, è stata l'Europa ad adottare poi tardivamente sanzioni unilaterali e a tempo, proprio come diceva Tremonti prima. Tra gli applausi sui media italiani di chi prima accusava Tremonti di essere un autarchico antistorico. Per carità, direte a questo punto che se Tremonti mira a tener buono un po' di voto statalista, fatti suoi. Come quando Berlsuconi fa capire che Alitalia può restare pubblica. O quando non assicura un ministero a D'Amato perché in Confindustria i grandi gruppi lo odiano. Direte che queste sono preoccupazioni elettoralistiche di basso conio, alle quali gli intellettuali liberali veri non possono prestare orecchio. È proprio per questo, penso io, che alla fine, nei momenti topici della storia italiana, i liberali veri stavano a Losanna come Pareto invece di dare buone idee a Giolitti, o insegnavano in America come Bruno Leoni, o si dividevano tra crociani ed einaudiani. Senza contare mai un cappero, perchè grazie ale loro divisioni vincevano sempre gli altri. Che alla fine, se gli Ichino si candidano nel Pd e se Giavazzi e i Boeri fanno il tirassegno a Tremonti tale e quale fosse uno di Rifondazione, scusate, ma è proprio vero che non dipende dal fatto che noi liberali siamo incapaci di fare fronte comune? Che cosa terribile e spietata, il senso di sé come eterno viatico alla sconfitta. Da Libero